La teoria miogenica dell’infarto

L’ipotesi di Baroldi-Silver rappresenta una sfida alle teorie convenzionali sull’origine dei disturbi cardiaci. La teoria attualmente accettata sostiene un’eziopatogenesi interamente centrata sulle cause vascolari dell’infarto e, in un’ultima analisi, sulla funzionalità emodinamica delle sole coronarie. I meccanismi di alterazione soggiacenti sono, come si sa, legati all’ispessimento delle pareti delle principali arterie che riforniscono di sangue e ossigeno il muscolo cardiaco. L’ispessimento e irrigidimento delle pareti arteriose (arteriosclerosi) prevede anche un processo di infiammazione cronica a cui si può sovrapporre, come ultimo passaggio, la formazione di coaguli (trombosi). Questi processi sono sicuramente coinvolti nei problemi cardiaci, tuttavia è possibile che gli elementi causali siano diversi?

Giorgio Baroldi (1925-2007) è stato un patologo cardiovascolare che lavorò negli Stati Uniti, forse meno conosciuto in Italia – nemo propheta in patria, protagonista per mezzo secolo del dibattito sulla patogenesi dell’infarto miocardico e della morte improvvisa coronarica, dimostrazione del genio italico nel panorama medico internazionale. Scrive il professor Gaetano Thiene, famoso anatomopatologo italiano, in un articolo in sua memoria:

Le sue idee avevano scosso l’ambiente scientifico americano, attratto da questo giovane brillante di “copernicana” memoria, che insegnava a dubitare e a mettere in discussione la teoria “tolemaica” dell’infarto miocardico e della morte improvvisa.

Le evidenze anatomopatologiche, in effetti, portarono Baroldi alla convinzione che fosse lo stress adrenergico la spiegazione delle sindromi coronariche, e ad abbandonare la correlazione fra rottura di placca e trombo per spiegare la causa dell’infarto miocardico.  Gli studi istologici sui tipi di necrosi miocardica (coagulativa, colliquativa, a bande di contrattura) lo avevano convinto che la morte improvvisa non fosse di natura ischemica, bensì la conseguenza di una “tempesta” catecolaminica, rivalutando il modello dello stress di H. Selye (1907-1982), e sviluppando le teorie cardiologiche di W. Raab (1895-1970). Insieme al dr. Malcolm Silver, direttore del Banting Institute di Toronto, ha pubblicato nel 2004, l’opera The Etiopathogenesis of Coronary Heart Disease: A Heretical Theory Based on Morphology contenente una spiegazione sistematica della sua teoria alternativa e la sintesi delle numerose pubblicazioni effettuate nel corso degli anni. Ad una teorica miogenica hanno aderito anche altri ricercatori, fra cui l’importante  cardiologo brasiliano Quintiliano H. de Mesquita (1918-2000), e il ricercatore indipendente Carlos Monteiro.

Le principali osservazioni su cui i sostenitori della teoria miogenica muovono la loro critica al modello classico sono:

  1. Alcuni soggetti, anche in presenza di un evidente ispessimento della parete delle arterie, vivono senza nessun segno di danno al muscolo cardiaco. Fenomeni di sclerosi arteriosa possono coesistere per anni con l’assenza di sintomi clinici di cardiopatia o angina.
  2. Non vi è relazione tra l’entità dei problemi coronarici delle arterie e la quantità di danno al muscolo cardiaco. L’evidenza anatomopatologica conclude che l’estensione delle placche arteriose non è correlata all’effettiva entità del danno al miocardio. Eppure sarebbe ragionevole aspettarsi che maggiore è l’entità delle placche ed occlusioni, maggiore sia l’area di muscolo cardiaco necrotizzato.
  3. Sono noti casi di infarto in assenza dei cosiddetti fattori di rischio e in particolare di occlusioni arteriose. Questo ultimo elemento fa emergere la necessità di postulare un’origine miogenica dell’infarto.

Del resto l’assenza di una correlazione fra estensione del danno al miocardio ed entità dell’alterazione arteriosa (ateromi) è spiegabile con la presenza della circolazione collaterale, che permette alla rete di microvasi collaterali di aggirare le eventuali occlusioni e di fornire sangue e ossigeno all’area interessata. Questo ci fa chiedere se l’evento primario non sia da ricercarsi all’interno del cuore stesso, e se invece il danno arterioso non sia un evento secondario.

Secondo i sostenitori della teoria miogenica un evento scatenante di tipo natura neuroendocrina (catecolaminergico), conseguente ad uno stress fisico o emotivo, sovraccaricherebbe il sistema di conduzione autonoma del cuore, e determinerebbe probabilmente prima un’aritmia, poi eventualmente una disfunzione meccanica e infine un danno cellulare e la necrosi di un’area, se il fenomeno supera una soglia critica. Quando si verifica una necrosi o la contrattilità di un’area del muscolo cardiaco risulta compromessa, la fluidodinamica delle arterie si trova alterata e potrebbero anche conseguire delle eventuali lesioni alla parete arteriosa. I segnali infiammatori conseguenti vengono quindi a favorire la formazione di coaguli di sangue, e questo ultimo processo può interagire e sovrapporsi alla precedente presenza di placche arteriose.
A questo punto il  restringimento delle arterie peggiorerà la situazione, ostacolando il rifornimento di sangue e ossigeno al cuore stesso. Come si vede, la teoria miogenica rovescia il rapporto causale e di successione temporale fra evento miocardico ed evento vascolare, che in questo caso diventa una concausa o meglio un fattore complicativo.

Che fattori psico-emotivi o stressogeni generali possano influire direttamente sulla regolazione elettrica cardiaca e sulla salute del cuore, senza mediazione di disfunzioni vascolari, è osservabile ad esempio nella sindrome tako-tsubo  (cardiomiopatia da stress), o “sindrome del cuore infranto”. Eppure ancora le autorità sanitarie e le principali fonti accademiche tendono a non riconoscere il legame fra infarto e stress emotivo. Ad esempio dal sito ufficiale della British Heart Foundation (2018), leggiamo affermazioni come “Lo stress non è direttamente un fattore di rischio per i problemi cardiovascolari, ma è possibile che possa contribuire al tuo livello di rischio”.

In effetti per la medicina dei collegamenti tra lo stress (e perfino gioie intense e improvvise) e il rischio di attacco cardiaco sono emersi in passato, ma quasi mai da gruppi di studio complessi e significativi. Almeno fino al 2016, quando uno studio retrospettivo, condotto da ricercatori della McMaster University (A. Smyth e colleghi), su circa 12.000 pazienti provenienti da 52 nazioni, ha evidenziato che il 14,4 % dei pazienti aveva avuto un attacco di ira o era emotivamente sconvolto nell’ora precedente l’infarto e il 9,9 % aveva vissuto gli stessi sentimenti il giorno precedente, indipendentemente dai fattori rischio attualmente considerati (ipertensione, arteriosclerosi, obesità). Malgrado la significatività di questo studio, ad oggi la medicina tende a considerare ciò più una correlazione statistica che un rapporto di causalità.

l’ipotesi miogenica ha dalla sua una efficace pars destruens che evidenzia i limiti della teoria dominante (ad esempio la mancanza di correlazione fra ampiezza del danno cardiaco ed estensione delle occlusioni arteriose, la presenza di infarto anche in assenza di fattori di rischio metabolici o fisici, e l’intuitiva correlazione fra cuore ed emozioni). D’altra parte la sua pars costruens può essere ancora relativamente carente, ma questo può dipendere anche dal fatto che le nostre conoscenze sul funzionamento del miocardio possono essere ancora incomplete e che questo implichi un livello di complessità finora sottovalutato. Tuttavia un certo livello di spiegazione fisiologica delle possibili cause stressogene dell’infarto è possibile, anche sulla base delle conoscenze attuali.

Ad esempio la fase acuta dello stress, comporta un aumento dell’adrenalina che ha fra gli altri effetti anche quello di incrementare l’aggregazione primaria delle piastrine, e quindi predispone alla formazione di coaguli e trombi. L’adrenalina agisce anche sul ritmo cardiaco (effetto cronotropo) e sugli stessi vasi, aumentando la vasocostrizione e la pressione sanguigna. L’aumento delle pressione arteriosa può essere causa di danno vascolare.

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Anche lo stress cronico tuttavia può inserirsi in questo modello patogenetico: la fase 2 dello stress (secondo Selye), o di “resistenza”, è incentrata sulla stimolazione cortisolica. L’aumento protratto dei livelli di cortisolo comporta aumento medio della glicemia, alterazioni metaboliche che alla lunga predispongono al diabete NIDDM, che è significativo fattore di rischio dato che aumenta di cinque volte il rischio statistico di infarto. L’ipercortisolismo inoltre favorisce anche lo sviluppo dell’obesità, soprattutto l’obesità addominale o viscerale, che è identificata come il tipo più pericoloso per il rischio cardiaco. Ancora, si può aggiungere che un importante parametro, l’ HRV (Heart rate variability, variabilità nella frequenza cardiaca), cioè la variabilità o differenza negli intervalli fra i battiti cardiaci, che è correlata inversamente alla salute del cuore (un cuore sano mostra un’alta variabilità HRV), è provato avere una correlazione con lo stress, in particolare con lo stress mentale.

A favore della teoria “interna” o miogenica, starebbero anche quegli studi che sembrano andare contro la “teoria classica”. Ad esempio quelli che mostrano come persone con livelli elevati di colesterolo tenderebbero a vivere più a lungo, come per gli anziani in cui ciò sembra avere un effetto protettivo verso il rischio di arresto cardiaco (Rauchhaus M., Clark A.L., Doehner W., et al., “The relationship between cholesterol and survival in patients with chronic heart failure”, J Am Coll Cardiol., 42(11):1933–1940 2003). O quelli evidenziano come, smentendo le aspettative, i tassi di sopravvivenza dopo un primo infarto, non risultano correlati ai noti fattori “classici” di rischio quale ipercolesterolemia, ipertensione, diabete, fumo, o familiarità ad eventi cardiologici. In particolare ci riferiamo ad un’ampia revisione di 500.000 casi pubblicata nel 2011 nel Journal of the American Medical Association (Canto J.G., Kiefe C.I., Rogers W.J., et al.,), che a quanto pare è restato ampiamente ignorato. Vi sono poi, a favore dell’ipotesi delle causa stressogena le evidenze come quelle riportate in uno studio del 2012 su Circulation, condotto dai ricercatori Schneider, Grim e Rainforth, che ha osservato gli effetti benefici di cicli di meditazione di 20 minuti per due volte al giorno, con una riduzione dell’ 11% del rischio di infarto rispetto al gruppo di controllo, sottoposto ad altre attività di promozione della salute, cibi sani, attività fisica e rilassamento non specifico (lo studio invece aveva preso in esame la pratica della Meditazione trascendentale, della scuola di Maesh Maharishi).

D’altra parte occorre sviluppare un modello esplicativo che dia conto in modo più completo dell’azione diretta dello stress psico-emotivo sul danno cardiaco, e questo è il principale punto debole della teoria miogenica. Una lacuna di questo tipo non è in grado di per sé di invalidare l’ipotesi, dovrebbe però indicare la direzione su cui concentrare l’attenzione di chi intende sviluppare questo “programma di ricerca”.

Ad oggi la teoria miogenica avanzata da Baroldi non ha prodotto quella “rivoluzione copernicana” che forse il suo ideatore si sarebbe aspettato. Invece ha aumentato, per un certo periodo la diffidenza reciproca fra cardiologi e anatomopatologi. Sul piatto della bilancia vanno però messi anche i  notevoli interessi economici derivanti dalla vendita delle statine, che sono la proposta principale di prevenzione/trattamento del colesterolo interpretato come causa fondamentale dell’infarto. Inutile ignorare quanto i fattori economici incidano sulla sociologia della comunità scientifica, sia in tempi di scienza “normale”, sia nel corso di una rivoluzione scientifica, come ha insegnato l’epistemologo T. Kuhn…

La teoria, o ipotesi, “miogenica” non è una teoria di medicina alternativa, ma un modello alternativo a quello dominante, all’interno del quadro della medicina convenzionale. È infatti evidente che essa non ha i tratti di una “medicina alternativa” (o scienza alternativa): non postula cioè un’ontologia diversa da quella ammessa dall’attuale paradigma scientifico, presenta al massimo un diverso rapporto di priorità causale e temporale fra eventi diversi dello stesso meccanismo patogenetico, al massimo indica una diversa eziologia e induce a riflettere su un maggior grado di complessità dei meccanismi soggiacenti all’oggetto di studio in questione. Complessità che attualmente i nostri modelli sono in grado di spiegare solo parzialmente. Del resto anche lo spostamento di interesse, come “fattore di rischio”, dal colesterolo all’omocisteina, non direttamente coinvolta nei processi di aterosclerosi, e il cui meccanismo in relazione alla patogenesi delle malattie cardiache non è del tutto compreso, può essere letto come un ulteriore argomento a favore di questa complessità.

Il nostro interesse per questa teoria consiste nel fatto che essa rivaluta la relazione “tradizionale” cuore-emozioni, e rinforza quindi le osservazioni delle medicine tradizionali, in particolare:

  1. la relazione fra cuore e shen, della Medicina Tradizionale Cinese. Il Cuore per la medicina cinese è la residenza dello Shen ( = mente, e lato sensu emozioni). Molto significativo è anche osservare che per la medicina cinese “Il Cuore controlla i vasi sanguigni” (Su Wen, cap. 44): lo stato energetico del cuore determina quello dei vasi, in questo senso osserviamo anche qui una inversione di priorità causale e temporale, rispetto al modello della medicina convenzionale secondo cui lo stato di salute delle arterie determina quello del cuore.
  2. la relazione per “segnatura”, che ad esempio è indicata da diverse discipline come la medicina spagirica, la iatrochimica, per arrivare all’omeopatia. Il rimedio Aurum, in tutte le sue forme o preparazioni, ad esempio è un rimedio elettivamente cardiaco, anche in relazione alla teoria tradizionale delle segnature. Le indicazioni della Materia Medica omeopatica non si fondano sulla “segnatura”, ma sul proving omeopatico: tuttavia in pratica la conferma per altra via. Ora i rimedi – spagirici o omeopatici – fondati sull’oro metallico, sebbene non possano essere descritti in termini di “meccanismo d’azione”, agiscono sul cuore in modo diretto: Aurum metallicum agisce sugli stati anginosi, sull’eretismo cardiaco; l’oro spagirico è di sostegno per l’insufficienza cardiaca. Questi rimedi non agiscono sull’emodinamica arteriosa, sull’ipercolesterolemia, sul livello di ossidazione del colesterolo, sulla formazione della placca o sui processi di coagulazione. Al massimo si potrebbe intendere che l’oro agisca anche sulla circolazione arteriosa in quanto essa è per “competenza” sotto il dominio della segnatura di ☉ – Sole, analogamente a quanto affermato anche dalla Medicina Cinese sul “Cuore che controlla i vasi sanguigni”.

È doveroso qui ricordare che quando si parla di “Cuore” in Medicina Tradizionale Cinese si fa riferimento soprattutto alle relazioni energetiche (sottili, Qi dell’organo), e non strettamente al cuore fisico. Questa distinzione semantica è riflessa tra l’altro nella convenzione grafica di scrivere nei testi accademici il nome dell’organo in maiuscolo (Cuore, anziché ‘cuore’), per indicare gli aspetti e le relazioni energetiche postulate dalla MTC e distinguerli dall’organo fisico con le sue proprietà descritte dalla medicina occidentale. Quando dunque ci riferiamo al cuore come “Governatore del sangue e controllore dei vasi“, o alle sue correlazioni in quanto ☉ del corpo umano, ci riferiamo ad un rapporto energetico di controllo o riflesso su un tessuto (uguale a quello Milza-muscoli, o Fegato-tendini, etc.) e non una relazione unicamente di tipo meccanico.

La scienza medica occidentale, dalla “rivoluzione” introdotta da W. Harvey (De Motu Cordis, 1628), ha chiarito i processi meccanici di tipo fisico che regolano la circolazione sanguigna. Tali processi fisici erano secondari per il tipo di struttura gnoseologica dell’uomo tradizionale antico, come abbiamo cercato di spiegare in un nostro articolo,  e non erano “conosciuti” non perché non ci fosse il metodo sperimentale, ma perché tale metodo si sviluppò solo in seguito ad un processo di incorporazione dell’Io nel centro eterico della testa (per usare il lessico antroposofico) avvenuto con il passaggio dall’evo antico a  quello pre-moderno. Tale processo di ristrutturazione cognitiva – che in maniera meno spiritualistica è stato supposto anche dallo psicologo J. Jaynes, nella sua teoria della “mente bicamerale” – è al tempo stesso un processo di “cristallizzazione” del mondo dell’esperienza umana. Massimo Scaligero ad esempio, sulla scia di Steiner, ha dedicato molto spazio al processo di corporificazione delle forze del pensiero umano nel “centro eterico della testa”, alla perdita del pensiero antico e all’emergere delle scienze fisiche moderne. Emblematicamente questo passaggio si può simbolizzare nella nascita del Cartesianesimo. Il meccanicismo è stato il paradigma scientifico orientante tutto il pensiero umano, fino almeno alla rivoluzione quantistica e agli sviluppi della fisica del XX secolo, che hanno radicalmente stravolto sia il concetto di “meccanica” sia quello di “determinismo”. Fino a quel momento però il modello dominante fu per quasi due secoli e mezzo, dal XVII al XIX, quello del cosmo come “orologio” (Laplace). In realtà le scienze biomediche (le meno idonee per altro – dato il loro grado di complessità – ad uniformarsi al modello meccanicistico) non hanno mai superato questa fase del pensiero umano, sostanzialmente legata al Meccanicismo cartesiano e poi al Positivismo. In questo senso i concetti e la struttura di pensiero che ancora domina la biologia è ancora strettamente deterministica e i modelli descrittivi per la fisiologia, la patologia, la farmacologia sono strettamente connessi a processi di meccanica molecolare. Lo stesso concetto di “meccanismo di azione” rimanda a descrizioni che sono basate per lo più su modificazioni allosteriche di recettori, enzimi o molecole bersaglio.

La meccanica della circolazione di Harvey, e le successive acquisizioni nell’ambito di questo paradigma, sono incontestabili da un certo punto di vista. La loro descrizione fisica è evidentemente in linea con il tipo di evidenza sperimentale che è propria della nostra umanità attuale. La descrizione è fisicamente corretta. D’altra parte il considerare il cuore unicamente come pompa meccanica, irrimediabilmente porta a perdere, ça va sans dire, la comprensione o l’interesse verso le relazioni “energetiche” (nel senso di aspetti sottili), ma anche – e questo riguarda anche la medicina convenzionale – a concentrare prevalentemente il focus sulle cause meccaniche nel senso più stretto: quindi a ricercare il modello causale soprattutto nell’emodinamica. Questo non è affatto scontato e, ad esempio, l’ipotesi miogenica rovescia completamente le priorità causali e temporali del processo patogenetico, assegnando agli aspetti emodinamici (indurimento dei vasi, ateromi, placche, trombi) un ruolo secondario ed avventizio, conseguente ad un processo di necrosi muscolare che partirebbe dal cuore stesso. Tale inversione di paradigma induce a supporre, e ad approfondire, un modello esplicativo di maggiore complessità, sia pure all’interno del quadro della medicina convenzionale scientifica.

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D’altra parte, questa ipotesi corroborerebbe le dottrine delle medicine tradizionali, con le loro relazioni energetiche (iperfisiche) e soprattutto confermerebbe la correlazione psico-somatica sensu strictu fra cuore (e patologie cardiache) e sfera emozionale. In un certo senso spostare il focus della ricerca eziologica dall’emodinamica delle arterie allo stress psico-emotivo, e fattori interni o “energetici”, e alla loro ricaduta sulla elettroregolazione cardiaca, consisterebbe in un vera “rivoluzione copernicana”, che restituirebbe al cuore (☉) la sua funzione di “centro”, anche da un punto di vista patogenetico.

 

 

Nota bibliografica

La bibliografia in italiano su questa teoria è limitata. L’unico testo, è Patologia cardiovascolare, di Baroldi, M. Silver, P. Gallo e G. Thiene, edito da McGraw Hill (1994), ma sembra non sia più disponibile, oltre ovviamente a G. Baroldi Autobiografia di una Avventura Scientifica. Storia naturale di una eresia (Piacenza Medica, 1989), anch’esso non ristampato ad oggi, almeno a quanto mi risulta. Segnaliamo invece un articolo di sintesi uscito su Nexus New Times n. 136, firmato dal giornalista scientifico Justin Smith.

 

 

 

 

 

 

 

 

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  1. Ulteriori informazioni sulla teoria miogenica dell’infarto miocardico sono disponibili nei seguenti articoli:
    1) Monteiro CETB. Lo stress come causa di attacchi di cuore – La teoria miogenica. Pubblicato sul Wise Traditions Journal on Food, Farming and the Healing Arts, autunno 2014. Riprodotto da Positive Health Online, Numero 222 – Maggio 2015 su https://bit.ly/2JPr5FC,
    2) Monteiro CETB. Teoria dell’acidità dell’aterosclerosi – Storia, fisiopatologia, terapia e fattori di rischio – Una mini recensione. Positive Health Online, Edizione 226, novembre 2015 su http://goo.gl/AejGAV
    3) Monteiro CETB. Teoria della trombosi coronarica degli attacchi di cuore: scienza o credo? Numero di salute positiva online 233 – ottobre 2016 all’indirizzo http://www.positivehealth.com/article/heart/coronary-thrombosis-theory-of-heart-attacks-science-or-creed
    4) Monteiro CETB, Digitalis e Strophanthin nella cardiopatia ischemica stabile e contenimento o attacchi cardiaci inversi – Una storia sorprendente e scioccante. Numero di salute positiva online 229 – aprile 2016 all’indirizzo http://goo.gl/l6oxZ8
    Cordiali saluti,
    Carlos Monteiro

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    1. Il Caduceo ha detto:

      La ringrazio del contributo, un approfondimento bibliografico importante…

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